Lo Statuto della città di Nusco, dato alle stampe in Vico Equense nel 1585, fu ripubblicato a Napoli nel 1737. Esso fu redatto sulla falsariga dei precedenti, che certamente non mancarono, anche se non ci sono pervenuti. Si dedusse dalla dichiarazione che si legge sul frontespizio: "Capitoli, Statuti e Costituzioni della Città di Nusco, concessi dal Re Carlo Quinto (11 dicembre 1535) e muniti di Regio assenso (22marzo 1536)....confermati dalla buona memoria di Geronima Brancaccio (associata alla madre Ilaria già nel 1489 e morta nel 1545), utile signora della Città.....e di altri predecessori signori e padroni....ordinati, confermati, richiamati in vigore e fatti osservare (tra il 1430 e il 1450) da Giancola De Giamvilla...e nei tempi passati osservati nella detta città."

                    Un altro documento, rilasciato da Carlo II D'Angiò a favore di Filippotto De Giamvilla, ciò porta al 1305, mentre numerosi altri particolari ci fanno risalire ad epoca molto più antica.

                    Valgono le seguenti considerazioni:

                    Alcune pene sono commisurate in denari, o in tarì, o in augustali, monete che si riferiscono al tempo romano, a quello dei Normanni e degli Svevi.

                    Le assise, cioè prezzi di diversi generi, soprattutto dei commestibili, provengono dai calmieri di Salerno, non da quelli di Napoli. Vi sono riferimenti all'antica città murata, con fossato e torri e bastioni, sui quali è vietato accumulare immondizie.

                    Nelle vicinanze del castello è in deposito un grosso quantitativo di spade, lance, balestre e ronche, da servire esclusivamente "per la defensione della terra".

                    La piazza è tenuta pulita a spese della Università e le vie a cura dei proprietari che vi hanno le case di abitazione o altri locali adibiti a negozio.

                    Le acque delle sorgenti non devono essere intorbidate e quelle piovane, scorrenti lungo le vie, non possono essere frenate da eventuali cumuli di immondizie lasciate in deposito o portate fuori casa durante la pioggia.

                    Lungo le vie di campagna, le siepi devono essere potate due volte l'anno, a maggio e a settembre, affinché i rovi sporgenti non diano fastidio ai passanti.

                    Le vie non possono essere ingombrate da materiale di deposito, di qualsiasi specie. Nel corso dei lavori, è consentita l'occupazione del suolo, per non più di otto giorni.

                    Tra i mestieri esercitati sono quelli di calzolaio, sarto, fabbro, falegname, muratore e tessitore. I macellai sono indicati con il nome di "boccieri " e le macellerie con quello di "bocceria ": la terminologia francese ci porta ai Normanni, mentre le altre voci "chianchieri " e "chianche " sono proprie di epoche posteriori....

                  ...I panni infestati da insetti non possono essere lavati nelle pubbliche vasche; per il paese non possono essere lasciati liberi porci e cani senza museruola; paga la multa l'operaio che vien meno alla parola data per l'esecuzione di un lavoro; è condannato ad una ammenda il venditore che froda sul peso o smercia generi avariati; agli operai non possono essere pegnorati i ferri dal mestiere; la bestemmia è punita (nelle costituzioni di molti paesi viciniori questa pena non è contemplata) secondo le consuetudini e le disposizioni dei Normanni; nei giorni festivi, la vendita della carne doveva cominciare quando in cattedrale era terminata la messa che l'arciprete celebrava all'alba, in tutte le stagioni.

                    I forestieri che si recavano a vendere olio "alla terra ", per ogni "quarantino " (circa diciotto litri), ne dovevano offrire una "pignatella " (poco meno di un litro), per alimentare la lampada sulla tomba di S. Amato "secondo l'uso antiquo ", altrimenti avrebbero dovuto pagare la multa di un augustale. La fiera ed il mercato nelle festività dello stesso santo erano franchi da ogni balzello, al pari del mercato settimanale del lunedì "secundo sempre è stato per passato ".

                    Nei mesi estivi era severamente proibito accendere i fuochi nelle campagne, per la salvaguardia dei boschi e delle messi mature.

da " Nusco, città dell'Irpinia " del prof. Giuseppe Passaro -  Cap. VII, par. 5 pagg. 151-152-153