Voci umane nei vicoli
Luigino aveva deciso: "Lascio anch'io Nusco, tento l'avventura. Tanta gente
ha cambiato vita, perché proprio a me dovrebbe andar male?" "Stai
attento a quel che fai, la Svizzera è dura, crudele. Lo sappiamo per
esperienza" - lo misero in guardia parecchie persone -.
-
«No, no, sono stufo di stare seduto sulle panchine della piazza, ho voglia di
fare qualcosa, qualsiasi cosa pur di guadagnarmi la giornata. Ad ogni festa,
ferragosto, Natale, resto ammutolito nel vedere quelli che tornano a Nusco con
macchine di lusso; gente che quando viveva qui da noi non aveva nemmeno gli
occhi per piangere. Sì, parto e non se ne parla più. Almeno potrò dire a mio
figlio di aver provato a lasciare questa "maledetta" terra.»
Febbraio 1963. Le quattro e mezza del mattino. Tonino aveva già aperto il bar,
in piazza. "Ragazzi vi raccomando Luigino, ha bisogno di essere
aiutato!" - si rivolse a me e a mio cugino Giuseppe -.
"Se è per questo siamo bene intenzionati a dargli una mano. "
Io, il più giovane del gruppetto, avevo l'incarico di trovare un lavoro sia a
Giuseppe che a Luigino. Avevo alle spalle già un anno di Svizzera. Per Giuseppe
era facile, altre volte aveva lavorato lontano da Nusco. Luigino era invece alla
prima esperienza. "Cercate di parlare il meno possibile della sua famiglia,
potrebbe soffrirne, scoraggiarsi. " - ci consigliò Tonino. "Bene,
bene, è meglio saperlo prima, ne terremo conto".
Apparve Luigino, con una grande valigia, gli occhi arrossati. L'aspetto di una
persona molto triste, angosciata. "Coraggio, coraggio, andrà tutto per il
meglio, ne sono certo. Sei in buona compagnia, vai tranquillo Luigino" - lo
incitò Tonino. "Se Dio vuole, ci vediamo alle feste" - si augurò
Giuseppe - "Speriamo, speriamo, vedremo quello che ci riserva il destino...
"- ebbe appena la forza di sussurare Luigino.
Il cielo era terso. Si potevano contare le stelle. Le strade ricoperte di
ghiaccio. Scendendo a piedi verso la stazione, il silenzio era rotto, di tanto
in tanto, dai lunghi sospiri di Luigino. Più giù, nelle strettoie, l'abbaiare
dei cani si fece sempre più insistente. "Anche i cani vogliono mandarmi
via. Angelo prendi un sasso e falli smettere. "
- "Caro mio, non sono i cani a darti fastidio, sei tu che devi sollevarti
il morale, in fondo parti con degli amici e non sarai solo... "
- "Vi ringrazio, lo so che mi siete vicini, ma ho dentro il cuore un grande
dolore. Tu capisci, Angelo, il mio stato d'animo; lasciare Nusco, i miei, gli
amici, rinunciare alla vita di sempre, alle abitudini... "
- "Certo che ti capisco, hai ragione. È stata dura anche per me, un anno
fa. "
- "Ma voi siete diversi, io sono troppo legato a Nusco, sono sensibile,
faccio fatica a lasciare ciò che mi è caro. Non so proprio se resisterò...
".
La mattina dopo. Il treno correva veloce lungo la valle del Rodano. Poco dopo
Martigny apparve sullo sfondo il lago Lemano. A Montreaux scendemmo.
- "È un posto splendido, incantevole, non è vero Luigino?" - disse
Giuseppe. Nessuna risposta. Quando fummo nell'appartamento di Veytaux, facemmo
un riposino. Luigino aveva scorto, appeso al muro, un quadro rappresentante un
bimbo che giocava. "Rassomiglia tanto al mio piccolo Salvatore, vero?
Povero mio caro bimbo, chissà come mi cerca... "
- "Su, su, che se va tutto bene, potrai far venire anche la famiglia"
- gli suggerii, per rallegrarlo.
Due giorni dopo Luigino decise di andare a trovare un altro compaesano, dalle
parti di Losanna. Passarono tre o quattro giorni: arrivò la notizia del suo
repentino ritorno a Nusco. L'avventura era finita.
Negli anni seguenti ho parlato spesso con lui di quella "trovata".
- "Vedi, non è questione di voglia di lavorare, giacché a Nusco in questi
anni ho sempre fatto la mia parte. Bene o male sono sempre riuscito a tirare
avanti. Dagli anni settanta in poi anche qui non è mancato il lavoro. È che,
quando sei troppo legato alla tua terra, non ce la fai a resistere. Ti prende
dentro una nostalgia, alla quale non sai dare risposta. Sì, conosco le tue
obiezioni: se tutti gli emigrati avessero seguito il mio esempio... Non siamo
tutti uguali, non tutti abbiamo gli stessi sentimenti—.
L'ho lasciato sempre dire, senza interromperlo, per capire meglio.
- "Qui a Nusco siamo come una grande famiglia. Non voglio dire con questo
che non ci siano screzi, lingue taglienti, contrarietà. Solo che la solidarietà
è viva, sincera. A volte provo a immaginare di trovarmi in una grande città,
ripeto solo a immaginare. E mi sgomenta il fatto di essere uno fra i tanti, uno
sconosciuto, quasi senza identità. Meglio, mille volte meglio il mio paesino,
dove tutti mi conoscono, mi chiamano, mi chiedono come sto. Io amo spesso
visitare le case delle persone anziane, raccontare aneddoti dell passato e,
soprattutto, farmeli raccontare. Dove lo trovi questo rapporto umano? Forse a
Milano? Forse in Svizzera o in America?... Ogni luogo di Nusco rappresenta per
me un ricordo. La giovinezza trascorsa, il passato e il presente insieme; mi
identifico con il paesaggio, ne prevedo i mutamenti. Ti dico di più, sono in
grado finanche di discernere i suoni della natura e di catalogarli. Per esempio:
il vento impetuoso che proviene dalle parti di S. Angelo dei Lombardi fischia in
un modo a Porta Molino, in un altro sul Castello. Voci umane nei vicoli, oramai
conosciute a memoria. E potrei continuare. "
Gli si potrebbe obiettare che la sua era, ed è, una visione un po' angusta, limitata, conservatrice, della vita. Ma come dargli torto...
Varese,
marzo 1993
Angelo Pepe
da IL NUOVO SUD Anno XIV nn.3/4 (60) Maggio/Agosto 1994