Sant'Amato senza ...confini
“Forse è a questa storia minima
che io debbo l’attenzione che ho sempre avuto per la grande”. Così scriveva
Leonardo Sciascia in un suo libro su Racalmuto,
“un’isola nell’isola, come
ogni paese siciliano di mare o di montagna”.
Anche la “storia minima” di Nusco
potrebbe essere letta come quella di “una montagna fra le montagne”. Eppure,
non c’è storia minima che non si dilati, prima o poi, per un istante o per un
secolo, in qualcosa di più “grande”. Non c’è borgo o paese - dimenticato
che sia – a cui non tocchi, almeno una volta, l’occasione di oltrepassare i
propri confini.
La cultura – buona o cattiva
che sia – comunque viaggia e arriva lontano, pur se in modo frammentario, o
marginale. Solo chi si considera “ombelico del mondo” si ferma a
contemplare se stesso.
La storia di Sant’Amato – nel nostro
caso, microstoria di una microsocietà – appartiene da secoli
all’ambito locale; eppure, singolarmente, ritroviamo il suo culto molto lontano
da Nusco. Nonostante la modestia delle prove e
la leggerezza delle apparenze, la vita del Fondatore di Nusco, attraverso
simboli e segni, giunti fino a noi per vie a volte chiare a volte oscure, per
iniziativa del singolo o di un gruppo, la ritroviamo collegata – idealmente e
praticamente – alla grande storia, quella fatta da milioni di uomini in cui
siamo immersi come particelle.
Per lo più, l’opera del
singolo è
molto leggera, talvolta anonima e, quando diventa impronta biografica, si
presta ad essere documentabile: così un sacerdote nuscano: “uomo di grande
mente e di grande cuore”, divenuto vescovo di Oppido Mamertina, in
Calabria, volle introdurre anche nella sua diocesi il culto di Sant’Amato,
memoria cara del paese natale.
Era il 1868 e la festa del Santo fu
fissata per il 16 ottobre.
L’iniziativa del gruppo,
invece, ponendosi al di là del mero dato biografico, si fa spesso più
consistente e si trasforma in fatto che dura nel tempo: così, novanta
anni fa, in piena emigrazione transoceanica, alcuni emigrati, residenti
a
Long Island City, negli Stati Uniti, fondarono una Società di Mutuo Soccorso fra i cittadini di Nusco,
intitolandola a Sant’Amato, con lo scopo di accrescere la “solidarietà”
fra i soci.
Ma nella storia – grande o minima
che sia – solo i “movimenti collettivi” – lentamente e nella lunga
durata – (l’azione concreta, cioè, che impegna milioni di uomini e donne, in
carne ed ossa, nella vita quotidiana) tracciano i solchi più profondi e
duraturi.
Nel nostro caso, il più
significativo culto di Sant’Amato, fuori dall’ambito locale, la cui memoria
visibile è arrivata fino a noi, risale ai tempi dei Normanni, quando con la
forte ripresa della pastorizia, nacque e si consolidò una tradizione popolare
di venerazione del Santo Nuscano.
Fu, pertanto, il mondo della
pastorizia, discontinuo ed itinerante, più che la civiltà contadina, ciclica ed
immobile, a stringere un “legame di sangue” con il Pastore Vescovo.
Quando i nostri pastori ritornavano
a Nusco, davano vita ad una singolare cerimonia di ringraziamento nei confronti
di Chi li aveva guidati e salvati.
Durante la festa tradizionale del 28
maggio – la più antica perché legata al Corpo del Santo – con un rituale che
conserva l’eco di antichi culti pagani cristianizzati, i pastori offrivano alla
Comunità Ecclesiale i migliori esemplari dei loro greggi.
In quel luogo – contrada Camarda – i
pastori venerarono Sant’Amato, edificando una chiesetta.
Lungo le direttrici della transumanza,
il culto del Santo di Nusco da Melfi arrivò fino a Lanciano, vicino Chieti, in
Abbruzzo.
Entrando in questa cittadina, nel
Medioevo centro di fiere della durata di mesi, oggi “antica e moderna”,
sovrastata dalla Maiella imbiancata di nevi, attraversiamo appassionati i
suggestivi “vichi”.
Gianni Marino
Tratto da "La voce di S.Amato"
Anno II N. 1