Li scumbaraturi
Stefano
Teodoro Delli Gatti e Michele Della Polla
E’
BUNUTA PASQUA, SANDA E JUSTA,
CHI
SI MANGIA L’AIUNU E CHI L’ARRUSTU…
La mattina di Sabato santo,
dopo l’affollatissima processione penitenziale del Venerdì santo, escono a
Nusco “li scumbaraturi”. Cantori non
professionisti che, accompagnati dal suono di un organetto, si recano di casa
in casa di amici e parenti per porgere, cantando, gli auguri di Pasqua, in
cambio di uova, salsiccia e buon vino paesano.
La “scumbaratora”, questa cantata popolare
e tradizionale, ha origini lontanissime nel tempo e risale con ogni probabilità
al mondo chiuso dei nostri antenati: montanari, pastori ed agricoltori che
cantavano molto, sia per vincere la monotonia delle giornate, sia per rompere
il silenzio dei campi e dei pascoli.
Le “scumbarate”, cantate forse anche per
appagare un desiderio nascosto d’arte, sono strofette in stretto lessico
dialettale, che contengono allegorie, amori, ingiurie, disillusioni amorose,
speranze, auguri, e che, composte e inventate al momento, prendono a tal punto
i presenti che tutti partecipano al rito, facendo il coro degli auguri e/o
rispondendo con altre strofette alla cantata.
Questi cantori
improvvisati di turno, che si tramandano l’arte di generazione in generazione,
sono degli autentici geni popolari, che hanno molto a che vedere con la poesia
dei trovatori della Scuola siciliana di Federico II. Oltre ai contenuti della “scumbaratora” è invitante e
irresistibile il ritmo melodioso e dolce dell’organetto che, per ore ripetendo
le stesse note ossessionanti, portano alla partecipazione l’uditorio.
Le cantate non hanno
testi scritti e si tramandano in forma orale di padre in figlio;
costituirebbero, se raccolte, un’importante chiave di lettura del nostro
passato in cui il popolo era più povero, sì, economicamente, ma tanto più ricco
di creatività, di fantasia e di vitalità.
Gli attacchi della
cultura moderna sono tanto forti che fra qualche anno anche la “scumbaratora” sarà soltanto un ricordo
e andrà nel dimenticatoio come già sono andati i canti della mietitura, della
vendemmia e della spannocchiatura.
Noi vorremmo tanto che
ciò non avvenisse e invitiamo i vari cantori a continuare con passione e calore
a rinnovare questa tradizione che viene da così lontano e che, a Pasqua, vive
il suo momento solenne e dignitoso.
Un grazie particolare
da parte del nostro giornale a Michele Della Polla (Paulinu), Stefano Teodoro Delli
Gatti (Ambrosio), Francesco
Pastore (Lu
giureiu),
Nicola Della Polla (Lu maggioru), Nino
Crispino (Lu
capustazionu) che, mettendo da parte ogni indugio e riservatezza,
continuando a “cantare”, contribuiscono a salvare una parte del nostro
patrimonio culturale e, allo stesso tempo, ricompongono un quadro d’insieme
della vita di relazione che va scomparendo anche nei nostri paesi……
Juliano
Nino