La settimana santa:
nostalgico ricordo del frastuono delle "turrozzulu"
Per
tre giorni le campane tacevano o, come si diceva in gergo, si addormentavano.
Prendevamo noi ragazzi il loro posto e andavamo in giro per le strade di Nusco a
suonare le principali ore del giorno. Saltavamo solo il mattutino, alle
cinque, perché s'era ancora al calduccio delle lenzuola. A quei tempi le
campane sostituivano gli orologi, che pochi soltanto avevano la fortuna di
possedere e portare nel taschino del gilè.
Cominciava
il mercoledì della settimana santa la dispensa dal servizio per il campanaro.
La piazza della cattedrale era il punto di concentramento da dove si partiva
noi ragazzi per fare il solito giro. Alle 8 del mattino, alle 12, alle 15, alle
18 portavamo l'annunzio dell'ora mediante il frastuono delle
"turrozzulu", strumenti di legno forniti di una linguetta che scorreva
rumorosamente su una ruota dentata. Alcune, come quella di casa mia,
congegnate a cassettina, ne avevano di ruote e linguette sino ad otto. Era un
gioco per noi e come la partecipazione a una grande festa. Mai nessuno, ricordo,
mostrò di aver poco a grado i sostituti delle campane.
Rammento
con vera nostalgia le varie cerimonie della settimana santa a cui tutto il
popolo prendeva parte con viva devozione e fede. La benedizione dell'olio in
tutte le chiese nel pomeriggio dello stesso giorno; la predicazione delle tre
ore di agonia e la processione del Cristo Morto il venerdì; il solenne pontificale
del sabato con la scoperta del Cristo Risorto: erano queste le funzioni e le
cerimonie che richiamavano gran parte della popolazione, anche dalle più
lontane campagne. In tempo di missione i padri tuonavano dal pulpito contro il
peccato e i peccatori facendo accapponare la pelle con lo spettro dei novissimi
e le struggenti fiammate dell'inferno.
Autentica
gara si accendeva tra le macellerie del paese che ornavano il frontespizio del
negozio e tutta la facciata dell'abitazione con festoni di verde, di luci
Mercoledì,
giovedì e venerdì santo, nel pomeriggio avanzato, noi ragazzi aspettavamo
con ansia un altro momento che caratterizzava la fine della cerimonia
religiosa all'interno della cattedrale. L'intero capitolo dei canonici
celebrava i vespri, una lunga funzione a base di canti e di lettura dei salmi
biblici. Al termine di ogni passo delle lamentazioni di Geremia veniva
spenta una delle nove candele accese su un grande candelabro posto ai piedi
dell'altare. Si entrava e si usciva di corsa per vedere e riferire quante
fiammelle ardevano ancora. Si aspettava trepidanti che restasse accesa l'ultima,
quella del centro, per effettuare in ordine
e in silenzio l'invasione. Ecco il momento sta per giungere per l'ultimo
spegnimento: si sparge la voce e tutti si tengono pronti; le grandi porte di
legno annoso del vestibolo sono aperte, fuori non rimane più nessuno. Grandi
e piccoli, sì, anche i grandi, nascondendo sotto le giacche più volte
rivoltate mazze, martelli, in mancanza d'altro pietre, aspettano che il
sagrestano si avvicini all'altare. Avanti, allo scoperto, sono le "turrozzulu"
che da sole basterebbero alla bisogna. Gli occhi di ognuno sono puntati sul
conetto di latta scura che sta per calarsi sull'ultima candela. È spenta. In un
baleno, all'unisono, si scatena la bagarre del rumore. Nella più assoluta oscurità delle tre navate grandinate di colpi si
abbattono su panche, banchi e porte, le gole emettono urla selvagge, gli
infernali strumenti di legno girano fragorosamente. Tutto questo siamo
autorizzati
a farlo, seppure non proprio a quel modo. La chiesa, e più di tutto il
vestibolo, si trasforma in una bolgia dantesca, perché tutti sono fervidamente
all'opera. Gli Unni, i Vandali, i Lanzichenecchi non avrebbero fatto certo di
meglio. Incosciamente ognuno pensava che la riuscita della funzione fosse
direttamente proporzionale all'intensità del rumore, che si cercava di
protrarre oltre i due minuti prescritti.
Si può pensare che tutto
sia andato in frantumi; invece no, tutto è salvo: la suppellettile, di legno
massiccio, ha riportato solo altre ammaccature, ma sono sacrosante. Il rumore
ha simboleggiato la voce e il fremito che scosse la terra, quando il Signore
del mondo spirò, avvolto nelle tenebre improvvise del cielo, sul monte da cui
gridò agli uomini il messaggio dell'amore e della salvezza.
Prof. Michele Della Vecchia
da IL NUOVO SUD Periodico di Cultura e Informazione