DAI PICENTINI ALLE ANDE
"Marchese" e "godio" lo distinguevano meglio del nome e del
cognome, senza possibilità di equivoci. All'anagrafe era Pietro Ciciretti,
orfano della prima grande guerra, gran giocatore di tombola prima e di tressette
poi. Mio fratello Tonino, che a tutti, compresi noi di famiglia, doveva
attaccare il ricciolo della caricatura, diceva che il fratello maggiore, bambino
di tenera età, vedendo la madre in pianto perché il marito era valorosamente
caduto in mezzo alle doline del Carso, per consolare la poverina, ripeteva:
"Tittu, ma', mo pigliamu lu putilu e li iamu a putilà". Simile
consolatoria Amato se l'è sentita dire da grande tante volte, quando i compagni
non trovavano di meglio per canzonare e ridere.
Del secondo nomignolo attribuito a Pietro non ho mai chiesto la spiegazione ai
coetanei, dai quali l'ho sentito non poche volte pronunziare. "Godio"?
Lasciamo perdere, è troppo tardi per tentare una ricerca, tanto più che il
termine è sparito col proprietario.
Col lavoro di scalpellino, al seguto di Gennaro Lanzetta, non ebbe fortuna,
giacché quest'arte aveva compiuto il suo ciclo a Nusco, dove stava agonizzando
la famosa e un tempo fiorente lavorazione dell'argilla. Non per nulla i nostri
circonvicini gratificavano noi Nuscani del nomignolo di "pignattari"
e noi in risposta attaccavamo alla "nazionalità" dei Torellesi il
nomignolo di "cocozzari', per i Santangiolesi "stracciaguanti', per i
Bagnolesi "ciampittari ", "spogliacristo" per i cittadini
della capitale irpina.
Ma veniamo alla grande avventura per cui Pietro è entrato durevolmente nei miei
ricordi. La trascrivo così come un giorno l'ebbe a raccontare a un crocchio di
amici in piazza Natale, sottolineando coi gesti e con la voce i passi drammatici
e chiamando al contempo sant'Amato a testimoniare la veridicità dei fatti.
La crisi economica del dopoguerra, particolarmente acuta nei piccoli centri
dell'entroterra irpino, costringeva tanta gente, giovani in particolare, a
ritentare la via dell'emigrazione. Il nostro fu tra quelli che scelsero
l'Argentina per il gran numero di paesani, molti addirittura compagni
d'infanzia, che avevano, se non proprio fatto fortuna, per lo meno trovato una
buona sistemazione, ai piedi delle Ande. Alla partenza si munì di un solo
indirizzo, quello dell'amico più intimo che aveva avuto negli anni della prima
giovinezza. Andrea Della Vecchia certamente lo avrebbe ospitato per i primi
giorni, il tempo strettamente necessario alla ricerca di una occupazione. In
casa sua ricordo di aver visto bambino i romanzi di Guerin Meschino e dei Reali
di Francia. E così Pietro partì con la nave per un lungo viaggio che lo portò
agli antipodi, a Buenos Aires, dove, se ben ricordo, aveva avuto i natali. Dopo
aver invano tentato di cavarsela da solo, fu costretto a rivedere quell'indirizzo.
In una metropoli di molti milioni di abitanti gli costò non poca fatica
raggiungere la zona di residenza dell'amico e non meno di ritrovare
l'abitazione, dove venne a bussare sull'imbrunire. Quello che avvenne ci
autorizza a pensare che fu visto arrivare; e dalle condizioni di panni e
d'aspetto s'indovinava che non era venuto là da turista. Dopo ripetute bussate
venne ad aprire una ragazzetta, alla quale Pietro parlò chiedendo dei genitori;
la piccola, ferma sulla soglia con la porta aperta a 45 gradi, debitamente
istruita, recitò bene la sua parte ripetendo a tutte le insistenze dell'inoto
visitatore un freddo "No conocco segnor". Il povero emigrante non tardò
ad avvedersi della congiura ordita all'interno e ciò nonostante volle insistere
ripetendo chi era, chi cercava, da dove veniva. Inutile: si sentiva rispondere
la solita ben intelligibile frase della lingua neolatina, che significava
rifiuto, disconoscimento, addirittura tradimento. Neanche quando disse che
riconosceva l'interlocutrice e ne pronunziò il nome, Raffaelina, ottenne
grazia. Allora capì che il vecchio compagno temeva di dover ospitare un
emigrante, forse prestargli denaro, perdere tempo appresso a lui. Dopo l'ultimo
"No conocco segnor", con la morte nel cuore, la disperazione
nell'anima, si allontana verso la città tentacolare, da dove partirà in treno,
con gli ultimi spiccioli, verso la provincia di Catamarca, dove Angelino Pepe è
factotum in un'impresa industriale. E Angelino, tanto più anziano di lui, aiutò
il concittadino.
Pietro non fece fortuna laggiù ma riuscì, con non pochi sacrifici, a metter su
un gruzzoletto di pesos, che gli permisero un decoroso ritorno. Ora riposa in
mezzo al verde del nostro piccolo e accogliente cimitero, laggiù in basso a
sinistra, vicino a tanti amici e compagni degli anni perduti. Anche lui, come
tutti gli altri, sta lì immobile come l'intrepido anderseniano soldatino di
stagno, sorridente, come quando narrava la grande avventura transoceanica,
allineato, inquadrato, con lo sguardo fisso in avanti, pronto a cogliere il
desiderio di chi vorrà riprendere un antico colloquio.
All'argentino lettore dei Reali di Francia lo sprezzo sdegnoso d'un verso
dantesco: `Non ti curar di lor, ma guarda e passa—.
Michele Della Vecchia
da IL NUOVO SUD Periodico di Cultura e Informazione