Compagni di sventura

                                        Nel giugno del 1953 mi trovai ad assistere ad una "discussione" politica molto concitata, si parlava niente meno che della famosa "legge truffa". Era la prima volta che prestavo attenzione a un simile argomento.

                                        Me ne andavo per la stradina che univa Nusco alla Stazione, allora poco più che un sentiero, assieme ad un gruppetto di braccianti. Alla fontana del Leone l'incontro con una decina di contadini. Si vedeva che avevano qualcosa da chiederci. "Che è successo a Roma? Ci sono novità? Avete notizie fresche, voi che venite dal paese? ". "Hanno tentato di fregarci, sono dei ladri, dei balordi. Per fortuna che li abbiamo fermati, per poche migliaia di voti, vigliacchi, infami..." - s'infuriò Carmine. "State attenti, questi ci vogliono mettere sotto i piedi, tenete gli occhi ben aperti " - rincarò la dose mio padre, uno che di politica capiva ben poco ma che si associava ugualmente alle lamentele. "Spiegatevi meglio" - supplicò Nicola, il più interessato, il più "competente". Allora Antonio, "l'intellettuale" della compagnia, salì su di un muretto e, scandendo le parole, chiarì come erano andate le cose: "La truffa stava nella legge elettorale. Se un gruppo di liste collegate avesse preso il cinquanta per cento più uno dei voti validi, avrebbe avuto un premio di maggioranza e cioè il sessantacinque per cento dei seggi. Sarebbero diventati padroni assoluti del parlamento. Badate bene, noi non avremmo avuto nessuna voce in capitolo, schiacciati, finiti!!!". "Saremmo diventati degli schiavi, ci avrebbero calpestati" - calcò la mano Giovanni, per completare l'opera.

                                        Alla Fornace, stessa musica, con l'aggiunta delle bestemmie, che arrivavano in cielo. Alla Macchia e a Fontigliano furono ancora più duri, tanto che mi venne il dubbio sulla veridicità di quella "legge truffa". Erano davvero così spietati gli avversari politici? Così cattivi, perversi? Ma lo sdegno di quei poveracci, l'espressione dei loro visi, l'odio che portavano verso quelli che "comandavano", mi indussero a schierarmi immediatamente con loro. 'Abbasso la legge truffa e abbasso anche chi l'ha inventata " - andavo, proclamando.

                                        Ci sono voluti molti anni per smaltire quel senso di avversione per la parte politica contraria. Alcune scene restano impresse nel cuore e nella mente. Cancellarle non è facile, né bastano la crescita culturale, l'esperienza, il benessere, l'accresciuta capacità di giudizio.

                                        La faccenda mi era parsa seria. Quei braccianti inferociti, carichi di rabbia, li sentivo in sintonia con me stesso. Ci accomunava un'esistenza magra, che faceva prevalere l'istinto non la ragione. Del resto con la pancia vuota era difficile "ragionare". Scagliarsi contro qualcuno serviva per liberarsi delle proprie paure, per dimenticare le brutture della vita.

                                        Oggi, a distanza di anni, la "legge truffa" non dice più niente, anzi in tempo di uninominale-maggioritario non fa una grinza. Come sarebbe difficile spiegarlo a quei poveracci! Non accetterebbero di sicuro... Da parte mia riconosco che la Legge era giusta, per la governabilità il premio di maggioranza era l'unica strada da seguire.

                                        Ma chissà perché quelle grida mi ronzano ancora nelle orecchie e, ogni volta, io tento di giustificare i miei "compagni di sventura ".

Varese, febbraio 1998

     Angelo Pepe

da IL NUOVO SUD  Anno XVIII n.1 (74)  Gennaio - Marzo 1998