Chiudere un occhio

 

                    Il figlio della sorella di Nannina di Fortunato; il nipote della moglie di Amato della Chianola: ecco una coppia di perifrasi, piene di identiche preposizioni, per indicare una persona a cui non bastano nome, cognome e paternità. Si sentono ancora frasi del genere sopra Nusco, dove le casate entrerebbero in una sola pagina dell'elenco telefonico. Le omonimie sono tali e tante che i nomignoli, detti da noi "scanginomi", diventano, oltre allo sberleffo, una necessità.

                    Di Michele Della Vecchia ce n'erano un infinità, finché il postino, in mancanza di un indirizzo preciso, era costretto alla violazione del segreto epistolare. Ma non c'erano equivoci, se, per distinguere me dai miei omonimi, si ricorreva all'attributo affibbiato a mio nonno, il quale oltre un secolo fa perdette una gamba nella lotta contro il brigantaggio nel Sud. Michele dello zoppo ero io; Michele di "cotica" designava un contadino che fu successivamente carabiniere, studente autodidatta, muratore, astronomo geocentrista, nemico dichiarato di Galileo e dei suoi accoliti; Michele di "sciecco" toccava a un mio parente, della piana dell'Ofanto, gran giocatore di tressette all'osteria la domenica e le feste comandate. Avevamo, mi par bene precisarlo, in comune il cognome. Tutti in casa mia, mamma compresa, avevano, oltre il solito dello zoppo, il loro bravo soprannome: Vincenzo era fifì, Peppino manese, Concetta nenna, Maria maestrina della stazione, Tonino, privilegiato con tre soprannomi, era futusso, bardascia e fragola rossa, quella che madre natura gli stampò sullo zigomo destro. Il mio nomignolo era puzone (con una sola zeta) che vorrebbe significare piolo.

                    E così Minuccia, diminutivo di Filomena, era individuata con il nomignolo del padre, detto zì monaco. Buona e gentile, saggia e onesta, il matrimonio la fece anche dinamica, giacché la crisi delle nostre zone interne risalente all'età paleolitica, imponeva alle donne la vera direzione della casa. "L'uomo fa il bene e la donna lo mantiene" ammonisce un adagio della sapienza paesana. Sposò Alfonso, il messo comunale, un gran brav'uomo, che impressionava per lo spessore delle lenti, ottimo suonatore di chitarra e maestro a tutti gli strimpellatori del paese. Sostando sotto i balconi della sua casa, in piazza Natale, era sovente possibile l'ascolto di buoni pezzi di musica eseguiti con chitarra e mandolino. Era suo il primo posto dei suonatori che la gente chiamava ad allietare le cerimonie di una certa importanza, come i matrimoni.

                    Era lei, Minuccia, ministro del bilancio e del tesoro, a mandare avanti la famiglia, nella piena salvaguardia dell'onore e del decoro. Allevare tre femmine e un maschio con un modesto stipendio, in un paesino tutto contadini e artigiani, non era impresa facile nel periodo che va dagli anni trenta ai cinquanta. Man mano che i figli crescevano, le donne, al solito, erano quelle che maggiormente preoccupavano la madre di famiglia. Tra dote, corredo, buon partito e il resto, c'e­ra di che darsi pensiero. E lì poi a due passi c'era la caserma, da dove i giovani carabinieri facevano i cascamorti alle belle figliuole che comparivano alle fine­stre e ai balconi. Un sorriso, un cenno, uno scherzo avranno acceso chissà quali fiamme nel cuore dei sospirati corteggiatori.

                    Prima di continuare, mi tocca una precisazione: Minuccia aveva un occhio di vetro, di cui non m'ero mai accorto le tante volte che era entrata nel negozio di mia madre. La menomazione era un invito a stare all'erta, a tener l'altro ben puntato sulla caserma, dove i militi cambiavano di stazione ad ogni lunazione.

                    Un giorno, facendo delle confidenze a un crocchio di amiche, tra la quali s'era appostato Antonio Salvi, pronto alla battuta come un comico di professione, commentava il corteggiamento di un carabiniere ad una delle figliuole. Il discorso correva più o meno del seguente tenore: "Che volete devo stare attenta; i carabinieri oggi sono qui e domani lì. Di loro non sappiamo nulla, tranne che indossano una divisa rispettabile. II partito non sarebbe da scartare, eppure sono preoccupata. De Carlo sembra veramente intenzionato; se volete che ve lo dica, io sarei disposta a chiudere un occhio. "Non l'avesse mai detto. Chiochiò, cioé Antonio Salvi, era lì a due passi e non si fece sfuggire l'occasione per una battuta che fece ridere prima i presenti e poi gli assenti. La frase fu detta in dialetto, e finiva con un termine che noi sostituiremo, anche se oggi certi vocaboli non fanno più impressione. Quando dunque Minuccia dichiarò d'esser disposta a chiudere un occhio, il furfante, fratello di Mariotti, lanciò fulmineo il commento: "E ci vedi col ... cavolo!".

                                             Michele Della Vecchia

 

da IL NUOVO SUD  Periodico di Cultura e d'Informazione