Ardori giovanili e peccaminosi per desiderati "pruvutariellu"

                    Su un vecchio dizionario storico-geografico ricordo di aver letto alla voce Nusco "...centro fiorente di studi". La fama, non immeritata, è certamente da attribuirsi al seminario diocesano, dove compivano gli studi vere schiere di giovani, provenienti da zone vicine e lontane. Là veniva effettuato l'intero ciclo di istruzione e preparazione per il sacerdozio: dalla prima classe del ginnasio al quarto anno di teologia che portava direttamente all'ordinazione. Per molti, come lo fu anche per me, il seminario costituì il mezzo più accessibile ed economico per giungere nei pressi della licenza liceale e seguire poi la strada del laicato.

                    Ogni giorno si vedevano per le vie del paese due lunghe file di ragazzi e giovani che uscivano per l'ora di passeggio. In avanguardia i piccoli ginnasiali, vestiti anch'essi con sottana, colletto e cappello nero; alla retroguardia i grandi, i teologi, più o meno prossimi all'ordinazione.

                    La svestizione, cioè l'abbandono del seminario, che in genere si realizzava con una fuga, era un avvenimento che faceva scalpore e cronaca per lungo tempo. Il nuovo borghese spariva per un po' di giorni e, quando si presentava in giro in abiti comuni, attirava su di sè gli sguardi di tutta la gente. Queste cose io le so per esperienza diretta.

                    L'introduzione, a questo punto, può bastare. Un giorno d'autunno di circa mezzo secolo fa, i seminaristi uscivano subito dopo pranzo per la solita passeggiata nelle zone periferiche del paese: svolazzi e fruscìi caratteristici delle tonache punteggiate da un numero infinito di bottoni. Due ragazze, ferme ai bordi della villa comunale per assistere al passaggio dei pretini, ebbero la sciagurata idea di manifestare un occulto, identico, fuggevole pensiero: si lasciarono sfuggire dalle labbra, simultaneamente, la frase: "Povera gioventù!". Giovani e carine, della buona borghesia paesana, esse non avevano; affatto l'intenzione di offendere la santa madre chiesa o quanto meno il celibato ecclesiastico. Vollero sciaguratamente e avventatamente, lo ripeto, sottolineare che quei fiorenti giovani non avrebbero provato le ebbrezze dell'amore, le gioie della famiglia.

                    Non l'avessero mai fatto! Fulmini e tuoni si addensavano sul loro capo. Le parole incriminate, pervenute all'orecchio di un prefetto, provocarono un risentimento che ebbe come prima conseguenza la revoca della passeggiata. La cosa, piuttosto strana, per un pomeriggio tipico delle ottobrate romane, incuriosì non poco le persone che a quell'ora si trovavano per la strada.

                    Senza indugio venne informata la suprema autorità ecclesiastica; un vero sentimento di orrore era in chi riferiva e in chi ascoltava il caso. Una decisione fu subito presa; bisognava dare una solenne lezione alle svergognatelle: così fu decisa la predica per la sera stessa. Immediatamente si sparse la voce che a —ventiquattr'ore", vale a dire all'imbrunire, vi sarebbe stata in chiesa una solenne funzione. E vi accorse tutta la popolazione nuscana ai cui orecchi era giunta, in con­fuso e a frammenti, la nuova dell'accaduto.  

                    Si ignorava la scelta dell'oratore; perciò gli occhi di tutti i fedeli si appuntarono al pulpito nei momento in cui il suono della campanella annunziò la predica. Doveva trattarsi evidentemente di un sacerdote; infatti comparve sul pergamo, come Apollo in cospetto delle navi achee, l'esile figura di un pretino, non del luogo, ai primi anni di apostolato. L'attesa non andò delusa: la voce si fece poderosa per lo zelo che animava quel petto e fece piovere sul capo delle povere vittime valanghe di tuoni, fulmini di vibrante oratoria. Le malcapitate si erano bene guardate dal farsi vedere tra i banchi: il tremendo atto di accusa, il fuoco delle parole, che so io, il rimorso le avrebbe schiacciate, annichilite. Non venne fatto il loro nome, ma l'abilità dell'oratore fu tale che potessero facilmente essere individuate.

                    A quei tempi io ero un ragazzino e della cosa venni a sapere soltanto a sera avanzata, a casa mia, dove fratelli e sorelle non mancavano di commentare il gran fatto. Seppi così della predica, della frase incriminata, delle due sventate che avevano osato offendere la santità del sacerdozio.

                    A distanza di tanti anni la vicenda delle povere ragazze mi tocca vivamente il cuore, poiché per amaro giuoco della sorte sono rimaste nubili.

                                                                                               

                                                                                                    Michele Della Vecchia

da IL NUOVO SUD  Periodico di Cultura e d'Informazione