Antonio, grandi imprese
I gradini del monumento di S. Amato, al centro della piazza, erano occupati da
un folto gruppo di ragazzetti, tutti impegnati ad ascoltare Antonio,
"vecchio uomo di mondo", come amava definirsi. L'argomento era
"importante".
- «Cari miei, avrei voluto vedere al mio posto, in una situazione tanto
delicata... ».
- «Dai Antonio, racconta come è andata, comincia daccapo». - implorò un
nuovo arrivato.
- «Va bene, ma che sia l'ultima volta...».
Uno sguardo intorno, severo, ammonitore. Assicuratosi che il gruppo era composto
e attento, ricominciò. «Mi trovavo nella valle dell'Ofanto, presso un parente.
Fui invitato a pranzo e mi fermai volentieri. Così, un bicchiere tira l'altro,
mi ritrovai "brillo ". Presi sonno all'ombra di una quercia, su di un
giaciglio di paglia; mi risvegliai quando ormai stava per calare la sera. In
lontananza s'udiva il suono di una fisarmonica. Mi fu detto che proveniva da una
masseria lì accanto; una festicciola tra amici. Ero giovane, voi tutti capirete
la mia voglia di fare un po' di baldoria... Lo vera storia comincia adesso».
Tutti noi, in un religioso silenzio, pendevamo dalle sue labbra. Antonio era un
omino fragile, minuscolo. Grandi "imprese", forse, non sarebbe stato
capace di compierne... Una vita abbastanza tribolata, la sua. Per fortuna che
sua moglie Raffaella si era sempre data da fare; ora raccogliendo legna secca
nei boschi, ora chiedendo l'elemosina. Nel vicolo Forno Vecchio, dove abitava, i
vicini di casa non lo vedevano di buon occhio, per il suo comportamento
"altezzoso".
Oramai quasi ottantenne, era per noi ragazzetti del vicinato una figura un po'
patetica e un po' comica. Un buon séguito, comunque, l'aveva: i suoi
"interventi" erano sempre ascoltati. In gioventù, una breve esperienza
negli Stati Uniti, a Filadelfia, non gli aveva portato fortuna.
- «Giunto sul luogo, cominciai a scrutare ad una ad una tutte le contadinelle
presenti. II mio sguardo incrociò quello di una splendida fanciulla. Alta,
mora, capelli lunghi, davvero carina» - continuò.
- «Ma allora, non andava bene per te, che sei piccoletto e mingherlino» -
s'intromise Michele, il più intraprendente di tutti.
- «Chi è che contesta le mie parole, chi si permette!» - si rizzò in piedi
Antonio, facendo roteare il bastone.
Scappò via Michele, inseguito dagli insulti del vecchio.
- «Adesso mi avete offeso, io non racconto più niente; voi non avete nessuna
riconoscenza per chi vi insegna a vivere... a comportarvi da "veri
uomini"... Basta, basta!». Si fece largo e, brontolando, si avviò verso
casa. Restammo ammutoliti e delusi.
Passò del tempo. Il desiderio di conoscere l'esito di quella avventura svanì.
Ma io, Angelino e Michele, più tenaci, cercammo il vecchio con insistenza. «Buon
giorno, Antonio, possiamo esserti utili?» "No, grazie- rispondeva
serioso. E allora gli toglievamo dalle mani il secchio pieno d'acqua e lo
portavamo fino a casa sua, oppure soccorevamo la moglie che rientrava con il
fascio di legna. Quando Antonio ci vedeva arrivare con il carico sulle spalle,
ci rivolgeva un timido sorriso, come a dire: « Va bene, ho capito, vi
accontenterò».
Un giorno lo trovammo su di una panca, ai piedi del castello. La pipa spenta tra
le labbra; si stava godendo un bel tramonto settembrino. Accettò di buon grado.
- «Dunque, eravamo rimasti a quella splendida fanciulla.... Ah, la rivedo
ancora; una bellezza vera, unica. Mi informai sul suo conto e seppi che il
fidanzato era militare in Alta Italia. Ecco spiegato il suo atteggiamento: in un
angolo, sola, un po' triste: sembrava stesse aspettando qualcuno... Mi feci
coraggio. Mi avvicinai con prudenza e la invitai gentilmente. Quando fu tra le
mie braccia le sussurrai qualche parolina dolce. "Non fare gesti, è
pericoloso" - mi suggerì. Mi sentivo emozionato e nello stesso tempo
orgoglioso. Ad un tratto lei ebbe come un sussulto. Si divincolò dalle mie
braccia e corse a riprendere il suo posto, dietro le donne più anziane. Lì per
lì rimasi sorpreso, poi, vedendo avvicinarsi un tipo alto e grosso, capii che
si metteva male per me. L'invito era chiaro, appartarmi con lui».
- «Te la diede una lezione? Ti fece capire di toglierti dai piedi?» - lo
incalzò Angelino, con una certa sicurezza, e con poco riguardo.
- «Non fui così ingenuo da farmi incastrare» - rispose sdegnato. «Feci finta
di accettare, poi in un baleno me la svignai. Fu un'avventura tremenda. Imboccai
di corsa una stradina che portava dritta al fiume; vistomi inseguito, mi tuffai
dietro una folta siepe di spine. L'oscurità mi diede una mano. Sentivo la voce
dell'uomo: "Aiutatemi a prenderlo che lo sistemo io, vigliacco ". Gli
si erano accodati quattro o cinque giovinastri. Li sentii passare di corsa a non
più di due metri da me. Me ne stavo rannicchiato e immobile. II cuore mi batteva
forte forte. Passai momenti terribili, da non augurare neanche al peggior
nemico. In quei momenti difficili, pensai a Nusco, ai miei amici. Oh, averne un
paio vicino, in quegli attimi! Chissà, riflettevo, se riuscirò a cavarmela...
Fatto sta che la pattuglia, dopo qualche minuto, tornò indietro. "Se lo
prendiamo il "signorino "... Io ho voglia di tagliarli la gola, ed io
lo vorrei "accarezzare con queste mani—. Queste le loro
"riflessioni"! Devo essere sincero, stetti senza respirare per un bel
po'».
- «Ma come andò a finire» - gli chiesi con sollecitudine. Sì, perché, man
mano che la storia andava avanti, cresceva in me un sentimento di pietà, per
quell'omino intrappolato, assediato da nemici. Quasi quasi, avrei voluto
essergli a fianco per difenderlo. In fondo, se era vero quel che diceva, non
aveva fatto niente di grave.
- «Adesso è tardi, devo andare; ragazzi, finirò un altro giorno».
Una brutta malattia lo tenne a letto per molto tempo. Io e Michele, che gli
abitavamo vicino, con l'aiuto della moglie, riuscimmo ad introdurci in casa,
dopo vari tentativi. Era il mese di dicembre. Nel vicoletto spirava un vento
gelido; la stanzetta era piena di fumo, mancava il camino. Antonio se ne stava
seduto su di uno scanno, le spalle coperte con un mantello.
- «Vera o falsa, conta poco; ciò che conta è saper farsi ascoltare, tenere
viva l'attenzione di chi si ha di fronte. Poi se c'è qualcuno che vuole
apprendere, meglio per lui... Quando arrivai negli Stati Uniti, nessuno mi
ascoltava. Io insistevo a sostenere che ero un capomastro, e loro niente... Mi
misero a tirare la breccia sulla ferrovia, poco dopo me ne tornai a Nusco.
Almeno qualcuno mi avrebbe preso in considerazione... »!
- «Ma come finì "l'affare" dell'Ofanto?» - chiesi per l'ennesima
volta.
- «Se sono ancora qui con voi, vuol dire che finì bene! Anzi voglio dirvi che
tutte le mie storie sono andate a "buon fine". Ora eccomi qua: questi
ultimi giorni che mi restano da vivere li voglio dedicare a me stesso, non agli
altri».
- «Antonio, scusami se insisto: la faccenda della "ragazza" la
lasciamo in sospeso, oppure è definitivamente chiusa?» - feci un ultimo
"disperato tentativo".
- «Chiusa, chiusa! Pensatela come volete, ma io non ce la faccio più a narrare
storie, a ricordarmi di tante cose. Sono malandato, io, ormai vado verso la fine».
Una lunga, interminabile pausa.
- «Cosa volete che vi dica. Forse questo modo di recitare in piazzale mie
"vicende", vi fa pensare che io abbia voglia di parlare al vento. Sì,
lo so che ho poca credibilità, che in paese mi deridono. Ma allora, ditemi voi,
in che modo si può sostenere il disagio di un'esistenza miserevole, tormentata?
Come alleviare gli affanni? Ritrovarmi insieme a voi ragazzi, discutere dei
`fatti" della vita, mi dà l'illusione di tornare agli anni belli e
spensierati della fanciullezza. Ecco, tornare fanciullo, questo è stato il mio
unico grande sogno. Per realizzare un sogno uno farebbe questo ed altro».
Un paio di mesi dopo Antonio se ne andò davvero. Come aveva previsto, non ce la
fece a superare l'inverno. L'addio fu mesto. Nel vicoletto si videro pochissime
persone. In paese, della sua mancanza non si accorse quasi nessuno.
Varese,
marzo 1992
Angelo
Pepe
da IL NUOVO SUD Anno XII n.5 (52) Settembre - Ottobre 1992