GIUSEPPE IULIANO: "VOLI E NUVOLI"


Da qualche tempo si va riproponendo la questione della letteratura meridionale, ma in termini parzialmente nuovi: non più come una dolente testimonianza dell'altra Italia, abbandonata e umiliata dall'Italia ricca del Nord (non solo quella "leghista"), bensì di un'Italia ben consapevole della propria dignità culturale, che ha esportato dovunque, con le "braccia da lavoro", anche cuore e intelligenza, arte e pensiero, umanità e poesia. A riprova di questa nuova coscienza del Meridione, sono sorte riviste e collane editoriali di tutto rispetto, a sostegno della capacità creativa delle vecchie e giovani generazioni. Ma, purtroppo, i risultati ottenuti finora, anche se incoraggianti, non sono sufficienti a fronteggiare i privilegi che l'economia e l'editoria del Nord hanno potuto accumulare in oltre un secolo di storia. E così pare scontato che debba levarsi un nuovo "lamento del Sud", non solo in politica (come attestano le polemiche tuttora in corso), ma anche nell'arte e nella cultura in genere. Che cosa importa, ai magnati del Nord, che qui si potrà vantare ancora, nonostante tutto, la splendida eredità della Magna Grecia? Ma non divaghiamo troppo, lasciandoci trascinare da ragioni conflittuali. Qui si voleva solo "presentare" una raccolta di poesie di Giuseppe Iuliano, Voli e Nuvoli. Essendo inclusa in una collana di "Cultura meridionale" (diretta da Paolo Saggese), dedicata espressamente ad accreditare autori ed opere del "Sud d'Italia", ci è sembrato opportuno premettere qualche considerazione, per così dire, di ordine generale.


Giuseppe Iuliano, irpino di nascita e formazione (è nato a Nusco, in provincia di Avellino), vanta già una cospicua attività nel campo letterario:una decina di sillogi poetiche, a partire da Malinconia di terra (1976), un romanzo (Cartolina precetto del 1986), un saggio su La civiltà contadina in Irpinia (1962) e due opere teatrali (Il Sud non è forse e Digressioni di un aedo, rispettivamente del I960 e 1999), rappresentate dalla Compagnia del Sancarluccio di Napoli, a cura di Franco Nico (la prima addirittura alla Biennale di Venezia nel 1982).


Con Voli e Nuvoli Iuliano continua ed approfondisce la sua funzione testimoniale, quella che svolge dai suoi esordi: "Poesia come carta d'identità, anche nostra", dice bene Massimo Rendina nella sua breve e acuta prefazione. Alla quale segue uno studio dettagliatissimo, in cui Paolo Saggese ricostruisce il cammino di Iuliano come "poeta dell'indignatio e dell'impegno meridionalista". Un cammino che comincia, come già accennato, con Malinconia di terra,nel solco di una "linea irpina" tutta rivolta a documentare, più che cantare, "la storia del Sud interno...fatta di emigrazione (la fuga), di fatica, di sudore, di fame, di soprusi, di conflitto tra padroni e contadini, tra galantuomini e cafoni; cui è seguita l'epoca dei ras della politica, del clientelismo, del terremoto dell'80, della corruzione, dell'industrializzazione mancata, e ancora del servilismo." Una storia tormentata, dunque, che già nel dopoguerra aveva avuto "cantori" di eccezionale talento (Quasimodo, Scotellaro, Bodini e altri), ma che era rimasta immutata (secondo lo spirito del Gattopardo) ed aspettava, pertanto, nuovi impulsi e nuove energie, per essere riproposta all'attenzione di un'altra generazione di poeti, quella di A. Arminio, A. La Penna,P. Martiniello, G. Luongo Bartolini, U. Piscopo, M. Parrella. A questa generazione, ma con voce più risentita, capace di passare dalla semplice protesta alla coraggiosa denuncia, si può ricollegare Giuseppe Iuliano, il quale si dispone principalmente a bruciare le risorse retoriche sull'altare della "impoeticità", cioè a sacrificare il "bello" baroccheggiante di certa tradizione nel segno e nel nome del "vero". Anche Iuliano, certo, trova nella poesia l'unica evasione possibile dai morsi della dura realtà, una sorta di àncora di salvezza che gli consente di "evitare la pazzia / e penetrare i misteri della vita". Egli sa bene pure che la poesia può costituire "l'unico contraltare" non solo a propria difesa, ma anche a sostegno della necessità di creare dovunque un mondo a misura d'uomo. Sentite: "Tu invece assecondi la libera parola / e prodiga di tempo e di misura / spendi la nostra voce. In ogni dove."

 

In effetti, la parola di Iuliano è così libera da rinunciare non solo alla "purezza" delle lirica moderna più accreditata, ma anche ad ogni tipo di ornamento formale: deve essere nuda e cruda, come si suol dire, per farsi specchio del reale, anche di quello meno gratificante. Sarà utile qualche citazione, per intenderci: "...Signori fusti di cannone / mercenari di ogni borsa / santini di copertina / capaci di fare storia di cronaca / e cultura di corna. Ma quali signori! "(cfr. Vorremmo dire); "Vorremmo dire / basta ai vomitatori di parole / mestatori di saliva fino allo sputo / leali quanto una borsa di euro / e una poltrona di comodo. / Prostitute e puttanieri d'alto bordo / professionisti di ogni prezzo / pronti a soddisfare lo sfizio e lo stupro. / E a bollare di meretricio e peccato / chi ha la malizia sotto le gambe".(cfr. Voi che avete). Non si può dire, certo, che questa sia poesia; ma che al suo fondo vi sia un'alta ragione d'essere, non si può negare. Sarà forse una poesia "impura" al grado estremo, come a noi piace definirla, e tale da non poter reggere il confronto con la tradizione estetizzante dei formalismi da noi sempre di moda. Ma la storia letteraria d'ogni luogo e d'ogni tempo attesta la presenza di una poesia dai toni bassi, indubbiamente classificabile "minore" secondo i parametri d'uso, ma autenticamente "vera" e forse anche più "umana", perché più vicina alla povera realtà della gente comune. E' importante, poi, rilevare che Giuseppe Iuliano è capace, pur sotto la morsa della indignazione, di tentare e raggiungere la levità d'immagini di certa liricizzazione tipica del Simbolismo. Una sola citazione, per rendercene conto: "Qualche fuoco fatuo / fiammella di malinconia / assicura parvenze di chiarore. / Nella cortina di brume che insiste / tarda la giustizia dei venti / a liberare l'occhio dal miraggio. / Fata morgana materna ci consola."(cfr. Fata morgana).


Ma gli è certamente più congeniale la disposizione alla rampogna, alla staffilata, allo sdegno rabbioso. Se si lascia trascinare dalla foga polemica, la sua pagina non ha limiti d'irriverenza. Anche qui un solo esempio, dei tanti possibili: "...Signore mannaggia / gli avidi potenti / ladri ruffiani sfruttatori / politici bugiardi / schiavisti affamatori / genia di ogni male / che già anticipa l'Inferno / sulla terra / e svena i tuoi figli di debiti." (cfr. Maledizione).

Non vi sarebbe bisogno, per la verità, di esprimere in versi stati d'animo così convulsi. Anche se l'autore ha amato definirsi "scrittore di versi", certi sentimenti o certe sensazioni starebbero meglio in prosa. Eppure, a ben riflettere, la storia della poesia non ha mai escluso il filone epigrammatico, che spesso ha fatto ricorso all'effusione irosa, alla maledizione, finanche alla bestemmia. Ve ne sono rapidi scorci perfino nella Divina Commedia, poema sacro per eccellenza. Pur considerata produzione poetica di minor conto, la satira violenta, di tipo personale e impersonale, ha sempre avuto dei cultori di talento.

Una ragione in più, questa, per giustificare la presenza di Giuseppe Iuliano non solo nella "linea irpina" dell'attuale poesia "meridionale", ma anche nel più vasto panorama della poesia italiana: la sua, potrà apparire come una voce dissonante, forse anche aspra e rude, ma è voce sua, viva e vera.


                        

                                                                                                                                                                                                                                    Vittoriano Esposito