Digressioni di un aedo, edizioni Altirpinia, la nuova raccolta in versi di Giuseppe Iuliano, una delle voci più autenticamente poetiche della nostra terra, può suonare a una prima lettura come un titolo piuttosto aulico e pretenzioso. A rivelarcene il senso profondo è la poesia che chiude la silloge, Essere, a cui lo scrittore di Nusco consegna una matura consapevolezza dell'essere poeta, ossia voce nel silenzio, non senza aver dato prima un'ulteriore prova dell'eccellente padronanza degli strumenti espressivi e retorici (nei suoi versi c'è un uso sapiente di assonanze e del climax, di chiasmi ed allitterazioni, di metafore e simboli, di immagini colte tratte dal repertorio mitologico classico e dalla lezione provenzale) attraverso le immagini che evocano i sinonimi della parola poeta: aedo di antiche leggende/ vate patriarca dell'anima/ rapsodo come uno zingaro, e poi, ancora, profeta, troviero, trovatore, cantore cortese, giullare, menestrello, cantastorie, rimatore, bardo, giocoliere, poeta acchiappanuvoli.
I versi che scaturiscono dall'immaginazione, dal libero volo del pensiero e della fantasia, che danno, insomma, voce ai sogni, rappresentano per Iuliano il senso più autentico dell'agire poetico e, insieme, l'ancora di salvezza di un animo puro, assetato di giustizia e di amore, titanicamente proteso al superamento di invalicabili barriere geografiche, metafora efficace e potente dei muri che l'uomo occidentale costruisce intorno a sè, impastati con una materia fatta di chiusura mentale e di mediocrità, di egoismo (Mediterraneo) e di insensata accumulazione materiale (Terzo millennio). Finisce, pertanto, che il digressioni del titolo risulti persino troppo modesto: le poesie di Iuliano, in realtà, sono un grido d'accusa contro un post- moderno indecifrabile e tuttavia, per molti versi, inquietante, e al tempo stesso l'unica via di fuga contro un isolamento esistenziale: la corona dei monti dell'Alta Irpinia, alla maniera leopardiana, è per l'aedo di Nusco l'infinito oltre il quale protendere lo sguardo di osservatore e gli aneliti inesausti, persino rabbiosi, di solidarietà umana e d'amore. Una condizione, questa, scrive nella prefazione Lia Fava Guzzetta, che "ricollega l'io poetante di Iuliano alla situazione interiore del Tristano leopardiano, che si sente ormai inattuale rispetto al proprio tempo". "Essere poeta - ribadisce Iuliano in Immaginazione - senza serti di ulivo/ nè segni di gloria/ umane lusinghe vanesie/ libero di evadere/ e di sciogliere il canto/ è vivere l'illusione./ E conoscere i sogni". E alla maniera di un aedo, egli racconta ai lettori "il suo mondo tormentato e ribelle; trasmette una manciata di sogni; inventa una vita immaginaria", come nota nell'introduzione Vania Palmieri, che con Nino Iorlano ispira l'interessante collana di testi editi a Lioni dalla rivista Altirpinia, giunta al quindicesimo titolo. Il tormento e l'estasi (per citare il titolo di un celebre film hollywoodiano su Michelangelo) dell'autore trovano corpo e figura nelle 16 splendide illustrazioni a colori dell'artista irpino Giovanni Spiniello, che impreziosiscono l'elegante edizione della silloge di Iuliano. L' "orizzonte autoriflessivo" (Guzzetta) dello scrittore altirpino, del resto, è intimamente legato al rapporto intenso e sofferto con l'Alta Irpinia: "prigioniero della sua terra" (Palmieri), tra le montagne, "non rinnegando le sue radici - scrive nella postfazione Bianca Mastrominico - ha messo radici più salde nello spirito e nella riflessione". Non a torto la prefatrice ricorre alla metafora del soggiorno obbligato (Lasciatemi andar via!, grida Iuliano nel primo verso di Paese) ed alla sua terra il poeta innalza un canto dolente (si leggano i versi di Terra mia e, soprattutto, di Orizzonte) che riecheggia, con toni più asciutti e ispirati, i temi delle sue raccolte precedenti, da Semi diversi a Umangraffiti, da Celie giambi elzeviri ad Antinomie e maschere, che sono valsi a Giuseppe Iuliano le prefazioni, e gli apprezzamenti, di intellettuali e scrittori del valore di Luigi Compagnone, Giovanni Russo, Gerardo Bianco, Francesco D'Episcopo. Con Digressioni di un aedo, ora, Iuliano compie un ulteriore salto di qualità nel suo itinerario poetico e fa vibrare con una matura padronanza stilistica, insieme, le corde del sentimento e del pensiero. L' "orizzonte autoriflessivo" (Guzzetta) dello scrittore altirpino, del resto, è intimamente legato al rapporto intenso e sofferto con l'Alta Irpinia: "prigioniero della sua terra" (Palmieri), tra le montagne, "non rinnegando le sue radici - scrive nella postfazione Bianca Mastrominico - ha messo radici più salde nello spirito e nella riflessione". Non a torto la prefatrice ricorre alla metafora del soggiorno obbligato (Lasciatemi andar via!, grida Iuliano nel primo verso di Paese) ed alla sua terra il poeta innalza un canto dolente (si leggano i versi di Terra mia e, soprattutto, di Orizzonte) che riecheggia, con toni più asciutti e ispirati, i temi delle sue raccolte precedenti, da Semi diversi a Umangraffiti, da Celie giambi elzeviri ad Antinomie e maschere, che sono valsi a Giuseppe Iuliano le prefazioni, e gli apprezzamenti, di intellettuali e scrittori del valore di Luigi Compagnone, Giovanni Russo, Gerardo Bianco, Francesco D'Episcopo. Con Digressioni di un aedo, ora, Iuliano compie un ulteriore salto di qualità nel suo itinerario poetico e fa vibrare con una matura padronanza stilistica, insieme, le corde del sentimento e del pensiero.
Paolo Speranza